Valentina Vannicola
a cura di Maria Livia Brunelli
a cura di Maria Livia Brunelli
In occasione delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante, il MAXXI ha presentato “L’Inferno di Dante” di Valentina Vannicola, progetto che è entrato quest’anno nelle Collezioni di fotografia del Museo.
Le quindici fotografie in mostra danno forma a un percorso in cui si avvicendano i peccatori descritti dal poeta nella prima delle tre Cantiche: a partire della Porta dell’Inferno, si incontrano le anime dei dannati in attesa sulle rive dell’Acheronte, quelle sospese nel Limbo, il corpo solo vegetale dei suicidi, e ancora le anime trascinate dalla bufera di Paolo e Francesca, quelle dei simoniaci, condannati ad essere capovolti nella terra, fino al Mastro Adamo, costretto all’immobilità e riarso dalla sete. Ambientate nelle campagne intorno a Tolfa (Roma), luogo d’origine dell’artista, le fotografie sono state realizzate coinvolgendo come attori gli stessi abitanti.
Protagonista, al pari dell’azione, è il brullo paesaggio della maremma laziale che, con le infinite tonalità di ocra, marrone, argento, bronzo, oro, conferisce alle immagini un preciso significato emotivo e progettuale. Nel lavoro di Valentina Vannicola, riconducibile al genere della staged photography, la componente letteraria funziona come traccia da seguire, approfondire e reinterpretare: è una sorta di input per avviare un processo inventivo libero e personale che conduce alla visualizzazione di un’immagine che prende forma in prima battuta in un bozzetto. L’immagine viene poi concretizzata nello scatto finale, risultato di un complesso lavoro di produzione in cui l’autrice assume il ruolo di sceneggiatrice, costumista, regista, oltre che fotografa. La continuità tonale, la sequenza rigorosa e le inquadrature meticolosamente studiate costruiscono un racconto sintetico, serrato, ma anche potentemente immaginifico e carico di rimandi simbolici, capace di reinterpretare in chiave contemporanea e corale una delle opere più “visive” della storia della letteratura.
# 01 Canto III, Antinferno La porta dell’Inferno Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.
# 01 Canto III, Antinferno La porta dell’Inferno Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.
# 02 Canto III, Antinferno Ignavi «Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo»
# 02 Canto III, Antinferno Ignavi «Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo»
# 03 Canto III, Antinferno Passaggio dell’Acheronte «quelli che muoion ne l’ira di Dio tutti convegnon qui d’ogne paese; e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disio» L’Acheronte è il fiume che segna il confine del mondo degli inferi; sulle sue rive si affollano le anime dei dannati in attesa di essere trasportate nell’oltremondo da Caronte, il nocchiero infernale.
# 03 Canto III, Antinferno Passaggio dell’Acheronte «quelli che muoion ne l’ira di Dio tutti convegnon qui d’ogne paese; e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disio» L’Acheronte è il fiume che segna il confine del mondo degli inferi; sulle sue rive si affollano le anime dei dannati in attesa di essere trasportate nell’oltremondo da Caronte, il nocchiero infernale.
# 04 Canto IV, primo Cerchio Il Limbo Così si mise e così mi fé intrare nel primo cerchio che l’abisso cigne. Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri che l’aura etterna facevan tremare; ciò avvenia di duol sanza martìri Luogo immaginato dalla tradizione cristiana come dimora ultraterrena dei non credenti prima della redenzione, e dei bambini innocenti ma non battezzati. Le anime che popolano il Limbo vivono in un eterno stato di sospensione, prive di disperazione o di speranza.
# 04 Canto IV, primo Cerchio Il Limbo Così si mise e così mi fé intrare nel primo cerchio che l’abisso cigne. Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri che l’aura etterna facevan tremare; ciò avvenia di duol sanza martìri Luogo immaginato dalla tradizione cristiana come dimora ultraterrena dei non credenti prima della redenzione, e dei bambini innocenti ma non battezzati. Le anime che popolano il Limbo vivono in un eterno stato di sospensione, prive di disperazione o di speranza.
# 05 Canto V, secondo Cerchio Lussuriosi Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere dal voler portate Qui il contrappasso è d’immediata lettura: coloro che in vita sottomisero la ragione alla tempesta della passione sono ora trascinati in un’arrestabile bufera di vento.
# 05 Canto V, secondo Cerchio Lussuriosi Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere dal voler portate Qui il contrappasso è d’immediata lettura: coloro che in vita sottomisero la ragione alla tempesta della passione sono ora trascinati in un’arrestabile bufera di vento.
# 06 Canto VI, terzo Cerchio Golosi Urlar li fa la pioggia come cani; de l’un e de’ lati fanno a l’altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani. Puniti da una continua e maleodorante pioggia e riversi nel fango, in contrasto con le delicate vivande e i savorosi vini di cui si saziarono in vita.
# 06 Canto VI, terzo Cerchio Golosi Urlar li fa la pioggia come cani; de l’un e de’ lati fanno a l’altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani. Puniti da una continua e maleodorante pioggia e riversi nel fango, in contrasto con le delicate vivande e i savorosi vini di cui si saziarono in vita.
# 07 Canto VII, quarto Cerchio Avari Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa, e d’una parte e d’altra, con grand’urli, voltando pesi per forza di poppa. Gli avari e i prodighi sono colpevoli di due peccati contrari ma nati dalla stessa matrice: l’attaccamento ai beni materiali e l’uso incontinente del denaro. Sono condannati a spingere senza posa pesanti macigni: sacchi pieni d’oro trasformati in pietre, simbolo delle vane ricchezze accumulate.
# 07 Canto VII, quarto Cerchio Avari Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa, e d’una parte e d’altra, con grand’urli, voltando pesi per forza di poppa. Gli avari e i prodighi sono colpevoli di due peccati contrari ma nati dalla stessa matrice: l’attaccamento ai beni materiali e l’uso incontinente del denaro. Sono condannati a spingere senza posa pesanti macigni: sacchi pieni d’oro trasformati in pietre, simbolo delle vane ricchezze accumulate.
# 08 Canto VII, quinto Cerchio Iracondi e accidiosi E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte, con sembiante offeso. Nella palude Stigia si trovano gli iracondi e gli accidiosi; i primi emergono dall’acqua picchiandosi tra di loro e i secondi sono completamente immersi nel tristo ruscel e la loro presenza è testimoniata dal ribollire della superficie dell’acqua.
# 08 Canto VII, quinto Cerchio Iracondi e accidiosi E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte, con sembiante offeso. Nella palude Stigia si trovano gli iracondi e gli accidiosi; i primi emergono dall’acqua picchiandosi tra di loro e i secondi sono completamente immersi nel tristo ruscel e la loro presenza è testimoniata dal ribollire della superficie dell’acqua.
# 09 Canto IX, sesto Cerchio Eretici E quelli a me: «Qui son li eresiarche con lor seguaci, d’ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche...» Qui si trovano gli eretici i cui sarcofagi rimarranno aperti, arsi dalle fiamme, fino al giorno del Giudizio Universale quando le anime rivestiranno i propri corpi.
# 09 Canto IX, sesto Cerchio Eretici E quelli a me: «Qui son li eresiarche con lor seguaci, d’ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche...» Qui si trovano gli eretici i cui sarcofagi rimarranno aperti, arsi dalle fiamme, fino al giorno del Giudizio Universale quando le anime rivestiranno i propri corpi.
# 10 Canto X, sesto Cerchio Farinata degli Uberti, Eretici Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s’ergea col petto e con la fronte com’avesse l’inferno a gran dispitto. Personaggio di spicco della fazione ghibellina della Firenze del XIII secolo. La sua forte personalità rimane integra nell’Inferno ed è tradotta in ogni suo gesto e parola, come nell’ergersi dalla tomba col petto e con la fronte/ com’avesse l’inferno a gran dispitto.
# 10 Canto X, sesto Cerchio Farinata degli Uberti, Eretici Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s’ergea col petto e con la fronte com’avesse l’inferno a gran dispitto. Personaggio di spicco della fazione ghibellina della Firenze del XIII secolo. La sua forte personalità rimane integra nell’Inferno ed è tradotta in ogni suo gesto e parola, come nell’ergersi dalla tomba col petto e con la fronte/ com’avesse l’inferno a gran dispitto.
# 11 Canto XIII, settimo Cerchio, II Girone Suicidi Come l’altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch’alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. Qui le strascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun de l’ombra sua molesta. Avendo rinunciato al proprio corpo, i suicidi sono destinati ad averne uno soltanto vegetale. Così il giorno del Giudizio, a differenza di tutte le altre anime che saranno rivestite della propria carne, queste ne rimarranno per sempre separate: i corpi saranno trascinati ed appesi agli alberi che esse hanno generato.
# 11 Canto XIII, settimo Cerchio, II Girone Suicidi Come l’altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch’alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. Qui le strascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun de l’ombra sua molesta. Avendo rinunciato al proprio corpo, i suicidi sono destinati ad averne uno soltanto vegetale. Così il giorno del Giudizio, a differenza di tutte le altre anime che saranno rivestite della propria carne, queste ne rimarranno per sempre separate: i corpi saranno trascinati ed appesi agli alberi che esse hanno generato.
# 12 Canto XVIII, ottavo Cerchio, II Bolgia Lusingatori, Taide Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinghe di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia e con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante...» Gli adulatori, insieme ai ruffiani e ai seduttori, sono la specie di uomini più lontana dalla tempra morale di Dante; così, sebbene non siano tra i più malvagi, le loro pene - la frusta e lo sterco - sono tra le più umilianti.
# 12 Canto XVIII, ottavo Cerchio, II Bolgia Lusingatori, Taide Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinghe di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia e con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante...» Gli adulatori, insieme ai ruffiani e ai seduttori, sono la specie di uomini più lontana dalla tempra morale di Dante; così, sebbene non siano tra i più malvagi, le loro pene - la frusta e lo sterco - sono tra le più umilianti.
# 13 Canto XIX, ottavo Cerchio, III Bolgia Simoniaci Fuor de la bocca a ciascun soperchiava d’un peccator li piedi e de le gambe infino al grosso, e l’altro dentro stava. I dannati che popolano questa Bolgia furono in vita sempre occupati in questioni materiali e non in quelle spirituali come sarebbe stato proprio del loro ufficio; sono così condannati ad essere capovolti con la testa verso la terra.
# 13 Canto XIX, ottavo Cerchio, III Bolgia Simoniaci Fuor de la bocca a ciascun soperchiava d’un peccator li piedi e de le gambe infino al grosso, e l’altro dentro stava. I dannati che popolano questa Bolgia furono in vita sempre occupati in questioni materiali e non in quelle spirituali come sarebbe stato proprio del loro ufficio; sono così condannati ad essere capovolti con la testa verso la terra.
# 14 Canto XXIX, ottavo Cerchio, X Bolgia Falsari Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle l’un de l’altro giacea, e qual carpone si trasmutava per lo tristo calle. Passo passo andavam sanza sermone, guardando e ascoltando li ammalati, che non potean levar le lor persone. La decima Bolgia è animata dai lamenti strazianti dei dannati che vi dimorano. Divisi in quattro specie (falsari di metalli, di monete, di persone, di parola) sono puniti con atroci malattie e febbri che alterano o corrompono il loro aspetto fisico, proprio come essi alterarono la natura di ciò che falsificarono.
# 14 Canto XXIX, ottavo Cerchio, X Bolgia Falsari Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle l’un de l’altro giacea, e qual carpone si trasmutava per lo tristo calle. Passo passo andavam sanza sermone, guardando e ascoltando li ammalati, che non potean levar le lor persone. La decima Bolgia è animata dai lamenti strazianti dei dannati che vi dimorano. Divisi in quattro specie (falsari di metalli, di monete, di persone, di parola) sono puniti con atroci malattie e febbri che alterano o corrompono il loro aspetto fisico, proprio come essi alterarono la natura di ciò che falsificarono.
# 15 Canto XXX, ottavo Cerchio, X Bolgia Mastro Adamo, Falsari diss’elli a noi, «guardate e attendete a la miseria del maestro Adamo; io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli, e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo...» Uno dei personaggi di spicco del Canto, colpito da idropisia e costretto all’immobilità, è riarso dalla sete ed ossessionato dalla visione dei freschi ruscelli del Casentino, feudo dove svolgeva l’attività di falsificatore di fiorini.
# 15 Canto XXX, ottavo Cerchio, X Bolgia Mastro Adamo, Falsari diss’elli a noi, «guardate e attendete a la miseria del maestro Adamo; io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli, e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo...» Uno dei personaggi di spicco del Canto, colpito da idropisia e costretto all’immobilità, è riarso dalla sete ed ossessionato dalla visione dei freschi ruscelli del Casentino, feudo dove svolgeva l’attività di falsificatore di fiorini.
Schema di lavoro di Valentina Vannicola con le note per la creazione delle immagini
Schema di lavoro di Valentina Vannicola con le note per la creazione delle immagini
