Eduarda Emilia Maino nasce a Milano il 2 ottobre 1930. Dopo aver conseguito una laurea in medicina, decide di non esercitare la professione e si dedica invece alla pittura, intrapresa da autodidatta. Nel 1957 conosce Piero Manzoni, con il quale instaura un rapporto di amicizia determinante per il suo avvicinarsi all’avanguardia milanese. L’anno successivo realizza il suo primo ciclo, I Volumi, tele attraversate da ampie aperture ellittiche che instaurano un dialogo ideale con I Buchi di Fontana e la collocano immediatamente nel fronte più innovativo della ricerca spazialista. Sempre nel 1958 tiene la sua prima personale alla Galleria dei Bossi di Milano e aderisce alle ricerche radicali animate dai giovani artisti dell’ambiente milanese. Nel 1959 entra nel gruppo Azimuth, fondato da Manzoni, Castellani e Bonalumi, struttura aperta alle sperimentazioni più avanzate della scena europea e in contatto diretto con il Gruppo Zero tedesco, il Gruppo Nul olandese e il Groupe Motus francese. È nell’ambito di questi scambi internazionali che, nel 1961, invitata in Olanda, il suo nome viene erroneamente stampato come un’unica parola, “Dadamaino”, crasi di cui l’artista sceglierà di appropriarsi definitivamente pochi anni più tardi. Nel 1962 partecipa alla collettiva Nul allo Stedelijk Museum di Amsterdam, mentre nello stesso periodo aderisce al neonato movimento Nuove Tendenze, al quale partecipano tra gli altri Getulio Alviani, Bruno Munari, Jesús Rafael Soto ed Enzo Mari.
Nella prima metà degli anni Sessanta approfondisce il tema del movimento realizzando opere di carattere ottico-dinamico e indirizzando poi la sua ricerca verso la Ricerca del colore, un lavoro sistematico sui rapporti cromatici derivati dallo spettro solare. A partire dagli anni Settanta il suo lavoro compie una svolta decisiva: l’interesse si concentra sul segno, concepito come unità elementare di un linguaggio personale. Dadamaino elabora una serie di moduli grafici ripetuti con disciplina quasi ascetica, sviluppando prima l’Alfabeto della mente, composto da caratteri alfabetici inventati con cui crea lunghe lettere costituite dalla reiterazione di un singolo segno, e successivamente I fatti della vita, ciclo nel quale riutilizza gli stessi elementi grafici ampliandone le possibilità combinatorie. Questo nucleo viene presentato in una sala personale alla Biennale di Venezia del 1980, consolidando la posizione dell’artista nella scena internazionale.
Nel 1983 il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano le dedica una grande retrospettiva, cui segue una nuova partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1990. Nel 2000 il Museo di Bochum organizza un’importante antologica che ripercorre l’intero arco della sua produzione, confermando la centralità del suo contributo alla ridefinizione del linguaggio segnico e percettivo del secondo Novecento. Dadamaino muore a Milano il 13 aprile 2004, lasciando un corpus coerente e radicale che continua a essere riconosciuto come una delle indagini più rigorose sul rapporto tra spazio, segno e percezione nella storia dell’arte contemporanea.